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scala senza pioli




Svuoto il cestino posto sotto la scrivania della camera-studio di mia figlia. In esso, m’incuriosisce un cartaceo appallottolato, l’unico foglio “striminzito” tra ritagli di giornale, stick vuoti di succhi di frutta… Apro quell’“accumulo” scritto a mano; era il punto di vista del tema scolastico: “Cosa farei per un tossicodipendente”.
Leggo; alla fine non posso che soddisfarmi di mia figlia che ha capito di non definire il “tossico” simile ad un rifiuto umano. Geniale quel puntare il dito verso la gente, insensibile e intollerante, che considera un drogato uno stupido che non vuol tentare d’uscire dal buio tunnel della follia.
Ad onore del vero, io non ho mai definito un tossicomane come un ragazzo dal carattere chiuso e introverso o pericolo pubblico; forse, perché mai affrontato uno in vita mia, ma una domanda da sempre: “Chi istiga un giovane al male e alla droga?” Forse, ho già la risposta che arriva, immantinente, dal profondo Io.
I bambini vivono accostati agli adulti, e da costoro apprendono il significato della vita; cresciuti e maggiorenni, alcuni vedono un ambiente inadeguato, un mondo marcio: disoccupazione, desolazione, dissensi, ma anche noia del benessere. Sono, citandole, alcune “vie” costruite dai grandi; complici sono il lassismo e la noncuranza delle pubbliche autorità, ed è per tale motivo che i giovani cercano l’erba, unica consolatrice.
I ragazzi sanno che i genitori sono contrariati che i figli facciano uso di droghe, perciò i primi evitano conversazioni; trascorrono ampio tempo nella loro stanza o a casa d’amici: da qui la nascita di un inferno in famiglia. Il figlio è trasandato nel vestire, trascura le attività extra scolastiche, il suo rendimento ne risente, perde la capacità di concentrarsi e di capire. Chiede l’aumento della “paga” settimanale. Ne ha proprio colpa, lui, di trovarsi in tale stato?
Per tali ragazzi si fanno troppi convegni, incontri



 
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Gianmarco Dosselli